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Traduzione italiana dei testi

STORIA DI UN LIMITE di Aminta Pierri

Secondo le leggi del codice Kanun trasmesse oralmente da secoli, se in una comunità familiare, specialmente nel nord dell’Albania, veniva a mancare l’uomo che ne era a capo, le sue funzioni di reggente potev

ano essere assunte da una donna. Questa rinunziava al ruolo di moglie e di madre, vestiva abiti maschili e veniva considerata e rispettata come “uomo”, non solo nell’interno della famiglia, ma anche nella intera comunità sociale.

Burrnesh è un termine intraducibile letteralmente che è la femminilizazione della parola Burr ovvero uomo.

La dualità, l’impossibilità, il limite diventano oggetto del libro. Le immagini sono in realtà negate, impossibilitate della loro lettura ‘normale’, legate in quartini rovesci che ne impongono la visione spezzata si aprono però alla ricerca dei dettagli e si dispiegano in un viaggio che torna di continuo su una stessa strada marcata da alcuni elementi che si fanno fortemente simbolici come la presenza delle acque di un lago, la mascheratura del blu applicato a mano per ogni copia a rimarcare un’incontro ed una imponente pietra solitaria.

Pietra che ha determinato la scelta della copertina anche essa divisa, tagliata tra Burr e la sua femminilità e che è sentore della leggenda di Rozafa madre sacrificata al castello di Scutari murata quale pietra miliare sacrificale alla tenuta dei confini contro gli invasori, donna e roccia.

E ancora è il limite che si impone come centro della narrazione in quanto confine duale.

Limes ha origini complesse, è via traversa, sentiero che fa da confine, confine territoriale: dove conosco separato da dove è l’ignoto. 

Il limite è proprio quel segno che da una parte definisce, descrive e rassicura e dall’altra è indissolubilmente legato alla esistenza stessa della strada alla via che permette la comunicazione che conduce dove non conosco e dove sposterò il mio nuovo limite.

Così se antropologicamente possiamo studiare il fenomeno delle burrnesh per avvicinarci a questa storia possiamo definire chi sia una burrnesh? Se sia donna o uomo oppure tutto quello di obliquo di trasversale alle definizioni di personale l’abbia portata ad essere ciò che di volta in volta vogliamo che lei sia o ciò che lei vuole essere?

A je Burrnesh si può tradurre in come stai burrnesh o forse potremmo forzarlo in dove sei sulla tua strada burrnesh? a che punto di te sei?

 

 

 

 

a je – (dialettale) come va? burrnesh – (dialettale) sostantivo formato da burrё (uomo) + n–eshё (suffisso femminile)

Ho iniziato questo lavoro con la curiosità di chi parte alla ricerca di un tesoro su un’isola sconosciuta. La mia isola era l’Albania e il tesoro le burrnesh. Questo libro racconta il mio viaggio, mettendo a nudo l’ambiguità e l’incompiutezza che l’accompagnano.

Ma chi sono le burrnesh?

Donne, a volte ancora bambine che, all’interno dei propri clan, in un clima in cui il senso del dovere era fortemente alimentato, venivano scelte per crescere come uomini e far fronte in futuro all’assenza di un capo-famiglia maschio, oppure ragazze che, per evitare il matrimonio o le conseguenze di un suo fallimento, senza però infangare il buon nome della famiglia, semplicemente vi rinunciavano, vestendo abiti maschili e facendo un giuramento di verginità.

Tracce di questa consuetudine si trovano nel Kanun di Lek Dukagjini del 1450, contenente le norme morali e giuridiche e le tradizioni orali stratificate nei secoli che regolavano la vita del popolo delle montagne.

“..un imprevisto della Storia, un’improvvisa mutazione genetica della società”, le definisce Eliana Leshaj, scrittrice albanese; il pezzo rimosso di una Storia travagliata, per me.

Per sette anni ho seguito il cammino di alcune di loro che sono diventate per me una seconda famiglia, lontana solo di poco rispetto all’altra. Fize e Gjin, Mark e Mol, più anziane, appartenenti ad un’epoca più lontana, hanno aderito pienamente al ruolo che la storia ha loro assegnato. Gjystina, più giovane, ha mantenuto più delle sue “madri” un attaccamento alla propria identità, rimanendo aggrappata al suo vero nome.

Ma ciò è solo forma, la sostanza è rimasta la stessa: un vuoto riempito da altri e una verità nascosta così bene da risultare invisibile.

Tutte le fotografie, tranne quelle d’archivio sotto la traccia del blu, sono state scattate in analogico tra il 2011 e il 2017 tra la città di Laç e quella di Bajram Curri.

 

A je Burrnesh è di Paola Favoino 

Balter | edizionid’ottobre

Per la poesia Eliana Leshaj

Per la cura&bookdesign Aminta Pierri

Per la grafica Riccardo Gola 

Per le traduzioni Bruno Pierri e Eliana Leshaj

Per la post-produzione e la stampa in camera oscura Davide Di Gianni

ottobre 2019 – Siz Industrie Grafiche Verona

250 copie di cui di 10 in edizione limitata con stampa in camera oscura

rilegatura giapponese + applicazioni a mano (Aminta e Paola)

testi in italiano inglese e albanese

 

Il libro si trova:

Leporello, Roma;

Marini, Roma;

Tlon Galleria Nazionale, Roma;

NW Gallery, Copenhagen, Denmark;

Magazzini Fotografici, Napoli;

Officine Fotografiche Roma;

e su richiesta scrivendo a:

pfavoino@yahoo.it or balterbooks@gmail.com